Certamente meno nota della sindrome di Peter Pan
(classificabile come un disturbo da immaturità psicoaffettiva, presente
in adulti che in varie situazioni della vita tendono ad assumere
atteggiamenti da bambini o adolescenti) la sindrome di Wendy definisce
quell’insieme di comportamenti presenti in persone che mostrano la
tendenza ad essere particolarmente accudenti e protettivi, costantemente
orientati a soddisfare le esigenze e/o i bisogni dell’altro.
Si presenta con maggior frequenza nelle
donne le quali, da sempre, vengono “educate al servizio” (mentre gli
uomini “al privilegio”) e, nelle quali, il “prendersi cura dell’altro”
viene veicolato non solo come un valore ma quasi come un dovere al fine
della realizzazione della natura femminile. E questo, ancora oggi,
quando i ruoli e i costumi sociali sembrano essere tanto in evoluzione
Ma chi è Wendy?
È la maggiore dei tre fratellini presenti nella fiaba di “Peter Pan”. La prima volta che Wendy incontra Peter Pan gli dice: “Ho tenuto in serbo la tua ombra, spero non si sia sgualcita. Va cucita, lo faccio io, è un lavoro da donna”.
Peter Pan le propone di andare con lui sull’isola che non c’è dove la
bimba potrà raccontare le favole ed essere la mamma dei Bimbi Sperduti.
Wendy porta con sé anche Gianni e Michele, i suoi fratellini. La
persona affetta da tale sindrome si sente responsabile del benessere
dell’altro che tende sempre a compiacere e gratificare, in un costante maternage che trova spazio e orienta tutte le relazioni significative.
Nel confronti del proprio partner,
oggetto indiscusso di amore, le forme di accudimento e cura possono
raggiungere livelli estremi, registrando un totale sbilanciamento delle
attenzioni sui bisogni dell’altro a quasi totale scapito dei propri.
Cosa si nasconde dietro questo bisogno di “prendersi cura”?
La paura del rifiuto e dell’abbandono.
Si tratta spesso di persone fortemente
insicure che hanno imparato, in età infantile dalle loro figure di
attaccamento (verosimilmente i genitori), che si può essere amati “a patto di…” o “a patto che..”.
A patto di essere buoni, bravi, non
fastidiosi e prodighi nei confronti dell’altro. Un po’ come ad
assicurarsi una “quota d’amore” con le proprie azioni.
Le persone affette dalla Sindrome di Wendy
non sanno che “l’amore deve essere gratis”, pensano di doverlo meritare
e in qualche modo provano ad assicurarselo con le azioni di cura,
cercando di rendersi indispensabili, o credendo di esserlo.
Sebbene i gesti e i comportamenti di cura abbiano una connotazione positiva è molto importante aiutare la persona con la Sindrome di Wendy a
ricalibrare le proprie azioni, imparando a riconoscere e a confrontarsi
con i propri vissuti abbandonici e con la paura del rifiuto sviluppando
la consapevolezza che niente può realmente preservarci dalle
separazioni e dalle chiusure affettive.
Molto importante un lavoro per sviluppare l’egosintonia
in cui chiedersi costantemente cosa si accorda con noi e perché,
provando un po’ a depotenziare l’altro. E per far questo, sarà
fondamentale imparare ad ascoltare se stessi e i propri personali
bisogni.
Come fare? Iniziamo con un piccolo esercizio:
Chiudete per un istante gli occhi e provate a chiedervi:
Domanda 1:«Come sto?».
Permettevi di rispondere con cura, non
semplicemente “bene” o “male”, provate a declinare meglio il vostro
sentire. Magari potreste sentire un’emozione specifica, una sensazione
anche corporea. Una volta trovata la risposta provate a chiedervi :
Domanda 2:«Di cosa avrei bisogno in questo momento per occuparmi del mio stato?». Ricordate:
se alla domanda 1,“come sto” avete dato una risposta positiva l’azione
da compiere per rispondere alla domanda 2 deve essere di mantenimento o
potenziamento dello stato. Se invece alla domanda 1 avete dato una
risposta in negativo, l’azione corrispondente alla domanda 2 dovrà
essere orientata al cambiamento e/o all’accudimento.
Occuparsi di se stessi è il primo compito della vita, farlo bene richiede impegno e… cura!!
Pubblicato da:
Sara Eba Di Vaio
il 29 luglio 2013
http://www.benessere4u.it/
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