Il piccolo Victor Frankenstein presenta ai propri genitori un piccolo
film amatoriale di cui è protagonista il suo cane Sparky che è l'unico
vero amico del ragazzino che ha la passione per la scienza ed è
tendenzialmente un solitario. Un giorno Sparky muore investito da
un'auto. Il dolore per Victor è così forte che, in seguito a un
esperimento su una rana a cui ha assistito nel corso di una lezione,
decide di disseppellire il cane e di tentare di riportarlo in vita.
L'operazione riesce ma ora Sparky va tenuto nascosto. Si tratta di
un'impresa non facile.
Correva l'anno 1984 e l'allora ventiseienne Timothy William Burton
consegnava alla Disney il suo secondo cortometraggio intitolato Frankenweenie
il cui plot di base era analogo a quello dell'odierno lungometraggio
omonimo. All'epoca al corto, che la Disney voleva affiancare alla
riedizione di Pinocchio, venne assegnato un PG (visione
consentita ai minori solo se accompagnati) e il film venne fermato e
agganciato l'anno successivo alla proiezione per la Gran Bretagna del
decisamente meno interessante Baby - Il segreto della leggenda perduta.
Oggi Burton torna a riproporcelo, sempre sotto bandiera Disney,
facendone uno dei film più personali della sua ormai decisamente ampia
filmografia.
Perché nelle vicende di Sparky e di Victor non c'è solo una
rivisitazione nostalgica dei suoi primi passi nel mondo della settima
arte. C'è molto di più. C'è la consapevolezza di un artista completo che
torna all'animazione utilizzando il bianco e nero e la tecnica della
stop motion, idea già accarezzata nel 1984 ma abbandonata per problemi
di budget e lo fa in tempi di 3D imperante a proposito e (in più di
un'occasione) a sproposito. C'è tutta la conoscenza del cinema e della
letteratura horror di cui sappiamo ma trasformata magistralmente in
qualcosa di profondamente diverso da una catena di citazioni ammiccanti.
Perché è vero che la nipote dello scostante sindaco si chiama Elsa Van
Helsing, che il professor Rzykruski ha le sembianze di Vincent Price,
ecc, ecc, ma qui il piccolo scienziato Victor non è dominato dall'idea
della scienza come strumento di potere (i suoi compagni di classe lo
sono). Non crea una 'Cosa' senza nome. La sua creatura un nome ce l'ha e
ce l'aveva anche prima. Si chiama Sparky, un essere che Victor vuole
richiamare in vita per amore, per quella fusione di cervello e cuore che
ha già in sé ancor prima che il professor Rzykruski la faccia diventare
cosciente.
Il cinema di Burton si è sempre confrontato con la morte e con la diversità. Con Frankenweenie
tocca uno dei vertici più alti della sua riflessione grazie
all'apparente semplicità dell'assunto che ha alla propria base la
profondità di ricerca di un regista che è tornato al vertice.
Scritto da Giancarlo Zappoli
Questo è invece
mymovies.it
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