martedì 2 luglio 2013

Johnny Depp “Guerriero indiano lo sognavo da sempre”

In “The Lone Ranger” che esce domani è la guida cherokee Tonto
“È un omaggio ai miei avi, il mio contributo ai nativi americani”
lorenzo soria
santa fè 
 
Quando il produttore Jerry Bruckheimer, il regista Gore Verbinski e Johnny Depp si misero in testa di far resuscitare le saghe dei pirati, prendendo addirittura il titolo da una delle prime attrazioni di Disneyland, molti fecero la previsione che era un genere troppo datato e che la casa di Topolino si sarebbe presa un bel tonfo. Sappiamo come è andata, una serie di quattro film che hanno raccolto un miliardo di dollari ciascuno. E con Johnny Depp, sino ad allora soprattutto campione nelle fiabe horror del suo alter ego Tim Burton (da Edward mani di forbice ad Alice nel paese delle meraviglie), che nei panni del Capitano Jack Sparrow è diventato uno degli attori più pagati e più amati del pianeta. Dieci anni dopo lo stesso trio si è messo in testa di resuscitare un altro genere la cui scomparsa è stata anticipata un po’ prematuramente per decenni e che invece sembra non morire mai: il western. E per farlo hanno ripreso un personaggio nato nel lontano 1933 come una serie radiofonica ed associato con la televisione in bianco e nero: Il cavaliere solitario.

Un film che esce domani nelle sale italiane ma che, nonostante la presenza di Depp e dei suoi partner ha impiegato anni a decollare, anche perché c’è dietro un budget mozzafiato da 250 milioni di dollari. E nella quale Johnny Depp, che ha lontane origini cherokee (La nonna materna Minnie era una nativa americana cherokee, e anche suo padre vanta lontane parentele con questo popolo, quanto a lui sul bicipite ha inciso il profilo di un capo indiano), ha voluto non il ruolo del protagonista, andato ad Armie Hammer (l’attore che faceva la parte dei gemelli Winkelvoss in The Social Network) ma quello di Tonto, la sua guida indiana che lo accompagna nel vecchio West a portare giustizia assieme a Silver, il suo cavallo bianco che al grido di «Hi-yo Silver» arriva sempre al momento giusto. Un Tonto che non a caso ha molto di Jack Sparrow: «È goffo e comico come lui - dice l’attorte -, ed ha successo non perché è bravo o coraggioso ma perché le cose gli capitano. È un guerriero indiano di grande integrità e dignità. Interpretarlo è stato un omaggio ai miei avi: è un piccolo contributo che spero di aver dato alla causa dei nativi americani per tutti torti da loro subiti».

Tanto ha fatto che The Lone Ranger è stato finalmente prodotto. Felice?  
«Da piccolo seguivo la serie in modo religioso. Ma anche a cinque-sei anni quello che mi colpiva più di tutto era che c’era un qualcosa che non funzionava: perché il pellerossa deve essere sempre quello secondario, quello che resta nell’ombra? Il vero eroe per me era lui, Tonto. E dopo avere avuto l’onore di passare molto tempo con Marlon Brando e di avere discusso con lui su come il cinema per cento anni ci abbia dato soprattutto dei cliché sugli indiani d’America, è stato importante per me rappresentarli in modo appropriato e corretto».

Non come i soliti selvaggi…  
«Gli Indiani sono diventati selvaggi il giorno in cui Colombo arrivò in America pensando di essere arrivato in India. È per questo che li chiamano indiani, perché questo idiota di Colombo è arrivato nel posto sbagliato. Tutto è iniziato così. Prima stavano benissimo, avevano uno stile di vita puro e bello. Ma poi è arrivato Colombo e ha rovinato tutto».

Ha appena compiuto 50 anni. Come ha festeggiato?  
«Con una semplice cena coi ragazzi. Non mi va di fare grandi celebrazioni, mi sembra un atto di pura vanità. E comunque non è che si tratti di una data così importante. È passata un’altra decade, ma non mi sono svegliato la mattina dopo non reggendomi più in piedi. Non ancora, perlomeno».

Niente crisi di mezza età, dunque?  
«Non ho questa spinta incontenibile che mi fa andare domani a comprarmi una Maserati multi-colore o una Ferrari. Sto bene col mio vecchio pick-up. E poi io la mia crisi di mezza età l’ho avuta a 19-20 anni, quando ho cominciato a domandarmi sul significato della vita. E per alleggerire i pensieri mi sono messo a…. diciamo ad auto-medicarmi».

Dove trova la spinta creativa?  
«Mi piace esplorare nuovi personaggi e avere l’opportunità di entrare dentro personalità diverse. Ma nel profondo della mia anima so bene che tutto questo non significa niente, che alla fine è solo cinema. Una fantasia».

Possiamo passare a Vanessa Paradis e al divorzio?  
«All’inizio le cose sono state difficili, ma siamo in buone relazioni. È una grande mamma e una grande donna. Quanto a nuovi amori, l’amore va sempre ridefinito ed è ovunque. Anche in questa stanza». 

http://lastampa.it/

Nessun commento:

Posta un commento