lunedì 6 maggio 2013

Amore e Psiche: la bellezza straordinaria di Psiche


LIBER IV

XXVIII (1) Erant in quadam ciuitate rex et regina. Hi tres numero filias forma conspicuas habuere, sed maiores quidem natu, quamuis gratissima specie, idonee tamen celebrari posse laudibus humanis credebantur, (2) at uero puellae iunioris tam praecipua, tam praeclara pulchritudo nec exprimi ac ne sufficienter quidem laudari sermonis humani penuria poterat. (3) Multi denique ciuium et aduenae copiosi, quos eximii spectaculi rumor studiosa celebritate congregabat, inaccessae formonsitatis admiratione stupidi et admouentes oribus suis dexteram primore digito in erectum pollicem residente ut ipsam prorsus deam Venerem religiosis adorationibus. (4) Iamque proximas ciuitates et attiguas regiones fama peruaserat deam quam caerulum profundum pelagi peperit et ros spumantium fluctuum educauit iam numinis sui passim tributa uenia in mediis conuersari populi coetibus, uel certe rursum nouo caelestium stillarum germine non maria sed terras Venerem aliam uirginali flore praeditam pullulasse.
XXIX (1) Sic immensum procedit in dies opinio, sic insulas iam proxumas et terrae plusculum prouinciasque plurimas fama porrecta peruagatur. (2) Iam multi mortalium longis itineribus atque altissimis maris meatibus ad saeculi specimen gloriosum confluebant. (3) Paphon nemo Cnidon nemo ac ne ipsa quidem Cythera ad conspectum deae Veneris nauigabant; sacra differuntur, templa deformantur, puluinaria proteruntur, caerimoniae negleguntur; incoronata simulacra et arae uiduae frigido cinere foedatae. (4) Puellae supplicatur et in humanis uultibus deae tantae numina placantur, et in matutino progressu uirginis uictimis et epulis Veneris absentis nomen propitiatur, iamque per plateas commeantem populi frequenter floribus sertis et solutis adprecantur. (5) Haec honorum caelestium ad puellae mortalis cultum inmodica translatio uerae Veneris uehementer incendit animos, et inpatiens indignationis capite quassanti fremens altius sic secum disserit: 

TRADUZIONE:
LIBRO QUARTO

XXVIII "Un tempo, in una città, vivevano un re e una regina che avevano tre bellissime figlie, le due più grandi, per quanto molto belle, potevano essere degnamente celebrate con lodi umane, ma la bellezza della più giovane era così straordinaria e così incomparabile che qualsiasi parola umana si rivelava insufficiente a descriverla e tanto meno a esaltarla. "Insomma sia quelli della città che i forestieri, attratti in gran numero dalla fama di tanto prodigio, restavano attoniti dinanzi a un simile miracolo di bellezza: portavano la mano destra alle labbra, accostavano l’indice al pollice e la adoravano con religioso rispetto come se fosse stata Venere in persona. * "Anzi nelle vicine città e nelle terre confinanti si era sparsa la voce che la dea nata dai profondi abissi del mare e allevata dalla spuma dei flutti, volendo elargire la grazia della sua divina presenza, era discesa fra gli uomini o anche che da un nuovo seme di stille celesti non il mare ma la terra aveva sbocciato un’altra Venere, anch’essa bellissima, nella sua grazia virginale.
XXIX "Di giorno in giorno una simile credenza si rafforzava sempre più e la voce cominciò a diffondersi nelle isole vicine e poi più lontano in molte regioni del continente. "Folle di pellegrini sempre più numerose facevano lunghi viaggi, attraversavano mari profondi per vedere quella straordinaria meraviglia del secolo. "Nessuno andava più a Pafo o a Cnido o a Citera per visitare i santuari di Venere; alla dea non si facevano più sacrifici, i suoi templi erano lasciati nell’abbandono, i suoi sacri cuscini calpestati *, le cerimonie trascurate, le sue statue restavano disadorne, vuoti i suoi altari e ingombri di cenere spenta. "Alla fanciulla si innalzavano preghiere, e si placava il nume di una dea potente come Venere adorando un volto umano. Al mattino, quando la vergine usciva, a lei si apprestavano vittime e banchetti invocando il nome di Venere assente e, quando passava per via, il popolo le si affollava supplice intorno con fiori e ghirlande. "Questo eccessivo tributo di onori divini a una fanciulla mortale suscitò lo sdegno violento della Venere vera che, scuotendo fieramente il capo e malcelando la collera, così cominciò a ragionare:


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